Nel contesto di separazione e divorzio, la determinazione dell’assegno di mantenimento è un tema cruciale, spesso legato alla necessità di valutare con precisione la condizione patrimoniale e reddituale dei coniugi. In casi complessi, il giudice ha il potere discrezionale di ordinare indagini patrimoniali avvalendosi della polizia tributaria, una deroga alle regole generali sull’onere della prova. Questo strumento viene utilizzato quando le prove fornite dalle parti risultano incomplete o difficili da ottenere con mezzi ordinari. Tuttavia, tale potere non può essere esercitato a fini esplorativi, ma deve basarsi su fatti concreti e specifici.

È importante sottolineare che il giudice può decidere di non disporre indagini se ritiene che gli elementi già acquisiti siano sufficienti per prendere una decisione sull’assegno di mantenimento. In tal caso, anche senza indagini supplementari, il giudice può rigettare l’istanza o determinarne l’importo, come evidenziato in diverse sentenze della Corte di Cassazione.

Ad esempio, la Corte ha confermato che non è obbligatorio per il giudice ricorrere alla polizia tributaria per accertare i redditi, se ritiene che le prove raccolte siano già adeguate a determinare l’assegno. Questa scelta è giustificata dal fatto che il potere di disporre tali indagini rientra nella sua discrezionalità, come emerso nelle ordinanze del 2021 e del 2024, dove il giudice ha considerato sufficienti i dati disponibili, evitando indagini ulteriori.

In conclusione, la valutazione dell’assegno di mantenimento è soggetta a un complesso bilanciamento di elementi probatori e discrezionalità giudiziale, con l’obiettivo di assicurare una decisione equa e basata su dati certi e verificabili.