Per configurare il reato di detenzione illecita di stupefacenti con finalità di spaccio, previsto dall’articolo 73 del D.P.R. 309/1990, non è l’imputato a dover dimostrare che la sostanza era destinata a uso personale, ma è la pubblica accusa a dover provare che la droga fosse destinata allo spaccio. Tale prova può derivare da una serie di indizi che, valutati nel loro insieme, consentano di determinare con certezza la finalità illecita della detenzione.

Nel processo di valutazione, il giudice può basarsi su qualsiasi elemento che, applicando logiche fondate e massime di esperienza, porti a una conclusione certa sulla destinazione della sostanza. Questo può includere, ad esempio, la quantità della droga detenuta, la presenza di strumenti per la suddivisione della sostanza (come bilancini di precisione), la suddivisione in dosi e il possesso di somme di denaro non compatibili con le condizioni economiche dell’imputato.

Un caso emblematico è quello in cui la condanna è stata confermata sulla base di diversi elementi: il numero di dosi singole ricavabili dalla sostanza sequestrata (ben 916), la suddivisione in involucri, la presenza di denaro non giustificabile con le normali condizioni economiche della persona, e il ritrovamento di due bilancini di precisione e un cutter, strumenti comunemente associati all’attività di spaccio.

In sintesi, la destinazione della sostanza a finalità di spaccio non richiede una dimostrazione diretta, ma può essere desunta da una serie di fattori che, considerati nel loro insieme, dimostrano con sufficiente certezza che la droga era destinata alla vendita.