Malasanità

Un cliente si è rivolto allo Studio legale lamentando gravi errori commessi durante un intervento chirurgico di rimozione di una massa tumorale localizzata nel fegato. Il cliente sosteneva che l’équipe medica avesse asportato una porzione sbagliata dell’organo, lasciando intatta parte della massa tumorale, il che aveva portato a una rapida recidiva della malattia nei mesi successivi.

A causa di questa negligenza, il cliente è stato costretto a sottoporsi a un secondo intervento chirurgico, durante il quale, a causa della progressione della malattia e delle complicazioni insorte, è stato necessario rimuovere gran parte del fegato, compromettendo gravemente la sua qualità di vita e limitando significativamente le sue capacità lavorative.

Lo Studio, una volta acquisita tutta la documentazione medica relativa ai due interventi dalla struttura ospedaliera, ha incaricato un medico legale di fiducia per esaminare il caso. La perizia ha confermato il collegamento tra l’errore chirurgico iniziale e il peggioramento delle condizioni del cliente, evidenziando un grado di invalidità permanente considerevole.

In seguito alla perizia favorevole, lo Studio ha avviato un’azione legale contro la struttura sanitaria, la quale ha cercato di difendersi sostenendo che l’aggravamento della patologia fosse dovuto a fattori non correlati al primo intervento. Tuttavia, lo Studio è riuscito a dimostrare, grazie a un’approfondita ricerca scientifica e giurisprudenziale, che l’errore commesso durante il primo intervento aveva avuto un ruolo determinante nel deterioramento delle condizioni di salute del cliente.

Il Tribunale, riconoscendo la validità degli argomenti presentati dallo Studio legale, ha condannato la struttura ospedaliera a risarcire il cliente con una somma di €700.000,00, a titolo di compensazione per i danni subiti e per l’invalidità permanente derivante dall’errore medico.

Adeguamento Assegno divorzile

Il nostro studio legale di Rimini è stato incaricato di rappresentare una donna che si trovava in una situazione delicata a seguito del divorzio dal suo ex marito, con il quale aveva avuto due figli, ormai maggiorenni. La donna era stata assegnataria della casa coniugale, di proprietà esclusiva del marito, ma quest’ultimo aveva presentato istanza al Tribunale per ottenere la revoca di tale assegnazione, sostenendo che i figli non vivevano più con la madre.

La nostra assistita, sebbene disposta a rilasciare l’abitazione, ha ritenuto necessario chiedere un congruo termine per organizzare il trasferimento e, contestualmente, ha avanzato la richiesta di aumentare l’assegno divorzile, originariamente fissato a 900 euro mensili, portandolo a 1.600 euro per far fronte alle nuove difficoltà economiche derivanti dalla perdita della casa.

Durante l’udienza, pur raggiungendo un accordo sul rilascio della casa coniugale, non è stato possibile trovare un’intesa sull’aumento dell’assegno. Il Tribunale ha accolto la richiesta del marito di revocare l’assegnazione della casa, ma ha respinto la domanda della nostra cliente relativa all’aumento dell’assegno divorzile.

Non ritenendo giusta tale decisione, abbiamo consigliato alla nostra cliente di presentare ricorso . In questa sede, abbiamo argomentato con forza che il Tribunale non aveva tenuto in debito conto il peggioramento della situazione economica della nostra assistita, né aveva considerato la necessità di porre a carico del padre le spese straordinarie per uno dei figli, che necessitava di cure mediche specialistiche.

La Corte d’Appello, accogliendo le nostre argomentazioni, ha modificato le condizioni del divorzio. È stato disposto un aumento dell’assegno divorzile a 1.300 euro mensili, con rivalutazione annuale secondo gli indici Istat, e il padre è stato inoltre obbligato a farsi carico delle spese straordinarie per il figlio. Oltre a ciò, la Corte ha condannato l’ex marito al pagamento delle spese legali per entrambi i gradi di giudizio.

Questa vittoria non solo ha garantito un adeguato sostegno economico alla nostra cliente, ma ha anche rappresentato un importante riconoscimento della necessità di tutelare i diritti di chi, dopo il divorzio, si trova in una situazione di fragilità economica. La nostra dedizione e competenza hanno permesso di ottenere un risultato che rispecchia pienamente le legittime aspettative della nostra assistita.

Sovraindebitamento:

Un piccolo imprenditore delle zone limitrofe, proprietario di una piccola azienda nel settore della ristorazione, si trovò in gravi difficoltà economiche. La sua attività, che in precedenza era prospera, subì un drastico calo di fatturato nel 2021, portando l’imprenditore ad accumulare debiti significativi: 80.000 euro nei confronti del fisco, 60.000 euro verso banche, e altri 40.000 euro con fornitori e altri creditori, per un totale di 180.000 euro.

Nonostante i suoi sforzi per riprendersi, l’imprenditore non riuscì a risolvere la situazione e si trovò a rischio di perdere la sua abitazione, una casa del valore di circa 120.000 euro, che costituiva l’unico bene di proprietà della sua famiglia. Le banche avevano già avviato la procedura per mettere l’immobile all’asta, con una valutazione che non avrebbe coperto nemmeno la metà del debito totale. L’imprenditore temeva non solo di perdere la casa, ma anche di rimanere con un debito residuo che avrebbe continuato a perseguitarlo.

Decise di rivolgersi al nostro studio legale di Rimini, specializzato in diritto fallimentare e nelle procedure di sovraindebitamento. Dopo un’attenta analisi della situazione, l’avvocato dello studio suggerì di avviare immediatamente una procedura di sovraindebitamento attraverso la liquidazione del patrimonio, ai sensi della normativa vigente.

Grazie a questa strategia, l’immobile venne comunque messo in vendita, ma il ricavato, seppur inferiore al valore di mercato, fu sufficiente a coprire parte dei debiti. Tuttavia, la grande vittoria fu che, con la conclusione della procedura di sovraindebitamento, l’imprenditore riuscì a ottenere l’esdebitazione, cioè la cancellazione di tutti i debiti residui, non solo quelli coperti dalla vendita dell’immobile.

Questo risultato permise all’imprenditore non solo di evitare ulteriori azioni esecutive e di proteggere in parte il suo patrimonio, ma soprattutto di ripartire da zero, libero dai debiti che altrimenti lo avrebbero perseguitato per tutta la vita. Grazie alla competenza e all’intervento tempestivo dello studio legale, l’imprenditore ha ricostruito la propria vita senza l’incubo del debito pendente, ora gestisce un affermato Bar.

Difficoltà a pagare mutuo:

F…….., residente a Rimini, aveva acquistato una casa nel 2005 con un mutuo di 150.000 euro. Per anni, è riuscita a gestire le rate mensili, ma un improvviso cambiamento lavorativo, seguito da un periodo di disoccupazione, l’ha messa in seria difficoltà economica. Oltre al mutuo, Francesca aveva accumulato altri finanziamenti e debiti per circa 50.000 euro.

Il mutuo residuo era ancora di 120.000 euro, ma con il tempo si era resa conto che il contratto di mutuo conteneva clausole poco chiare e probabilmente illegittime, specialmente riguardo agli interessi applicati. Francesca si trovava ora con l’incubo di perdere la sua casa e senza un modo chiaro per risolvere la sua situazione debitoria.

Dopo un’attenta revisione del contratto di mutuo, scoprìmmo che la banca aveva applicato interessi superiori a quanto legalmente consentito e inserito clausole poco trasparenti.

Lo studio legale fece eseguire una perizia tecnica che evidenziò le irregolarità del contratto, permettendo di contestare legalmente gli interessi e le condizioni imposte dalla banca. Dopo mesi di negoziazioni serrate, lo studio riuscì a ottenere una riduzione significativa del debito residuo.

Nel frattempo, F…….. trovò un acquirente per la casa, che fu venduta per 90.000 euro. Grazie alla negoziazione condotta dallo studio, la banca accettò di chiudere il debito con un pagamento di soli 50.000 euro. Questo permise a Francesca di estinguere il mutuo e di utilizzare i restanti 40.000 euro per saldare altri debiti e ricominciare da capo con una base economica più solida.

Riduzione saldo e stralcio finanziamento Agos:

Il Sig. M., un lavoratore autonomo residente a Rimini, aveva accumulato una posizione debitoria significativa nei confronti di una società finanziaria Agos per un totale di circa 25.000 euro. La somma era derivata da un prestito personale che, a causa di difficoltà economiche, M. non era più in grado di rimborsare regolarmente.

Negli anni, M. aveva subito pressioni da parte delle agenzie di recupero crediti che avevano assunto la gestione del debito. Queste pressioni avevano aggravato ulteriormente la sua situazione finanziaria e personale. Alla fine, il debito era tornato all’ufficio contenzioso lasciando M. senza alcuna via d’uscita apparente.

Gli avvocati dello studio, dopo aver esaminato attentamente il contratto di finanziamento, scoprirono che vi erano delle clausole che potevano essere contestate, in particolare quelle relative agli interessi applicati e alle condizioni di mora.

Lo studio legale, facendo leva sull’Art. 644 del Codice Penale (usura) e sugli articoli 1815 e 1284 del Codice Civile (interessi legali e anatocismo), avviò una contestazione formale nei confronti di Agos, contestando la legittimità degli interessi applicati al debito del Sig. M.. In base a queste disposizioni, se il tasso d’interesse applicato supera il tasso legale di usura, l’interesse è considerato nullo e non dovuto.

Dopo mesi di negoziazioni e uno scambio intenso di documentazione e perizie tecniche, lo studio riuscì a dimostrare che parte degli interessi applicati al debito del Sig. M. erano illegittimi. La Agos lungo, accettò di ridurre significativamente l’importo del debito, proponendo una chiusura a stralcio.

Alla fine, il debito originario di 25.000 euro venne ridotto a 7.000 euro, un risparmio netto di 18.000 euro. Questa soluzione permise a M. di estinguere il debito con una cifra sostenibile e di riprendere il controllo delle proprie finanze.

Spaccio-uso personale di sostanze stupefacenti :

Un giovane figlio di un nostro storico cliente, fu fermato dalle forze dell’ordine mentre viaggiava in moto durante un controllo serale. Durante la perquisizione, vennero trovati in suo possesso alcune dosi di marijuana, oltre a una somma di denaro di circa 60 euro suddivisa in banconote di piccolo taglio. In seguito al fermo,venne accusato di detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio e di violazione delle prescrizioni dell’avviso orale. Il Tribunale, basandosi sulle prove raccolte durante l’istruttoria, lo condannò a otto mesi di reclusione e a una multa di 1.500 euro, disponendo anche la confisca della droga trovata.

Redigemmo  l’appello, sostenendo che la quantità di droga trovata era compatibile con l’uso personale e che la somma di denaro trovata non poteva automaticamente essere considerata provento di attività di spaccio.

Durante il processo d’appello,  riuscimmo a dimostrare che M.G. era un consumatore abituale di sostanze stupefacenti, nonché che la somma di denaro in suo possesso non era sufficiente a provare un’attività di spaccio. Inoltre, richiamando una recente sentenza della Corte Costituzionale, l’avvocato sostenne l’illegittimità del provvedimento amministrativo che vietava il possesso del cellulare, in quanto adottato senza la necessaria autorizzazione dell’Autorità Giudiziaria.

Il Tribunale ha accolto le argomentazioni della difesa, assolvendo M.G. per entrambi i capi d’accusa. La Corte ritenne che non vi fossero sufficienti prove per dimostrare l’intento di spacciare la droga e annullò la condanna per la violazione dell’avviso orale, dichiarando illegittimo il divieto imposto. Inoltre, la Corte dispose la restituzione del denaro sequestrato e la distruzione della sostanza stupefacente.

Testamento:

Nel 2019, siamo stati incaricati di rappresentare i fratelli R.S. e R.T., nonché la nipote R.M., tutti eredi del defunto R.G., deceduto a Rimini . I clienti si sono rivolti allo studio per contestare la validità di un testamento olografo redatto da R.G. , che era stato pubblicato nel 2018 dal Notaio di Rimini.

Secondo il testamento, R.G. aveva disposto di lasciare l’intera proprietà di un appartamento situato a Riccione, a favore della sua badante, S.., che lo aveva assistito negli ultimi anni di vita. Tuttavia, i nostri assistiti ritenevano che il testamento fosse nullo, sostenendo che R.G. non fosse in condizioni di intendere e volere al momento della sua redazione, essendo affetto da una grave forma di demenza senile e da altre patologie debilitanti.

In particolare, i clienti lamentavano che R.G., già dichiarato invalido al 100% dalla Commissione Medica Locale nel 2007, non fosse in grado di comprendere la portata delle sue azioni quando redasse il testamento. Inoltre, sostenevano che il legato fosse nullo poiché R.G. non deteneva la piena proprietà dell’immobile, ma solo una quota pari ai 2/3, condividendo la proprietà con i suoi due figli.

Lo studio legale ha prontamente raccolto tutta la documentazione medica necessaria e ha incaricato un medico legale di esaminare le condizioni di salute di R.G. al momento della redazione del testamento. Il medico legale ha confermato che, a causa della sua condizione di salute, R.G. era probabilmente incapace di intendere e volere quando redasse il documento.

Nonostante la difesa della controparte, che sosteneva la piena lucidità di R.G. al momento della stesura del testamento e che il lascito fosse un atto di riconoscenza per l’assistenza ricevuta, lo studio legale ha presentato una solida argomentazione legale, basata su prove mediche e testimonianze, per dimostrare l’incapacità del testatore.

Il Tribunale ha accolto le tesi dei nostri clienti, dichiarando la nullità del testamento olografo per incapacità del testatore e limitando il legato alla sola quota di proprietà detenuta da R.G., pari a 2/3 dell’immobile. Inoltre, ha riconosciuto ai nostri assistiti la piena proprietà delle loro quote, rigettando le pretese della controparte.

Il Tribunale ha condannato S.L. a restituire l’immobile ai legittimi eredi e al pagamento delle spese legali. Grazie alla strategia legale dello studio, i nostri clienti hanno ottenuto giustizia, preservando i loro diritti ereditari e tutelando il patrimonio familiare.