Nel contesto delle indagini penali, l’accesso ai dati personali contenuti in un telefono cellulare rappresenta spesso una questione delicata. Sebbene possa sembrare un’ingerenza nei diritti fondamentali dell’individuo, la Corte di Giustizia Europea ha stabilito che tale accesso non deve essere limitato esclusivamente ai reati gravi.
Con la sentenza nella causa C-548/21, la Corte ha chiarito che, pur trattandosi di un’intrusione potenzialmente significativa nella sfera privata, l’accesso ai dati telefonici può essere giustificato anche per indagini su reati di minore entità. Tuttavia, per garantire il rispetto del principio di proporzionalità, è fondamentale che il legislatore nazionale definisca chiaramente quali categorie di reati giustificano un simile intervento.
L’accesso ai dati deve avvenire solo dopo un’autorizzazione da parte di un giudice o di un’autorità indipendente, salvo situazioni di urgenza. Inoltre, una volta che non sussistano più rischi per le indagini, la persona interessata ha diritto di essere informata sui motivi che hanno portato a tale autorizzazione.
La Corte ha respinto l’idea che solo i reati gravi giustifichino l’accesso ai dati, sostenendo che una simile restrizione limiterebbe indebitamente i poteri investigativi, aumentando così il rischio di impunità per altri reati. Questo potrebbe mettere a rischio la sicurezza e la giustizia all’interno dell’Unione Europea.
In definitiva, il legislatore nazionale ha l’onere di stabilire regole chiare e precise per bilanciare la tutela della privacy con la necessità di un’efficace azione investigativa, indipendentemente dalla gravità del reato.
Questa sentenza offre una guida importante per chi si occupa di diritto penale e protezione dei dati, sottolineando l’importanza di procedure rigorose e ben definite per accedere alle informazioni sensibili.